IL PUNTO n 972 del
18 ottobre 2024
di MARCO ZACCHERA
Per
scrivermi o contattarmi: marco.zacchera@libero.it
Numeri
arretrati sul mio sito www.marcozacchera.it
Ai lettori: In questi
giorni sono negli USA per seguire la campagna elettorale presidenziale e ho
qualche difficoltà a spedire IL PUNTO, vi prego di scusarmi per eventuali
ritardi nella diffusione o problemi di impaginazione.
UN’ AMERICA IN DECLINO
A qualcuno potrà sembrare strano, ma la prima impressione
sbarcando a New York è la conferma di un paese in declino, arretrato, vecchio.
Vecchie le procedure di ingresso, l’aeroporto, i vagoni della
metro, i ponti delle ferrovie, le corsie delle autostrade ormai
sottodimensionate rispetto alle necessità.
Vecchia la gente, i quartieri sporchi con troppi “modelli
Scampia”, il degrado che attanaglia la metropoli. Certamente Manhattan e i
quartieri bene delle villette unifamiliari con giardino non sono così, ma è per
sottolineare come gli USA non sembrano più quel modello vincente di sviluppo e
di integrazione che era l’America di quando, da ragazzi, sbarcavamo dal volo
transoceanico con gli occhi spalancati e tutto ci appariva grandioso.
Fu nella Grande Mela che nel 1985 vidi il mio primo computer
operativo alla reception dello Sheraton in 7a Avenue, con i taxi gialli che
sembrano immensi con quei cofani ed i bagagliai enormi rispetto alle nostre
microscopiche auto europee.
A parte che oggi un taxista di origini nord americane è
impossibile trovarlo, che lo spagnolo ha conquistato anche il nord-est ed ha
imposto tutti i cartelli bilingue, per trovare qualcosa di americano doc che
non sia cambiato devi annusare l’aria che esce dai condotti della metropolitana
o alzare gli occhi al cielo chiuso tra i palazzi che erano una unicità di New
York e oggi però sono dovunque. Ma è comunque cambiata la gente che è ormai un
miscuglio incredibile di razze, in cui i WASP (bianchi anglosassoni
protestanti) sembrano una piccola minoranza. Ti circonda piuttosto una folla
sformata dall’obesità con epidermidi di tutte le gradazioni e vestita nei modi
più trash, mentre ascolti lingue di tutto il mondo.
Detto questo, ovvero sparate fuori le negatività della prima
impressione, ritrovi poi la città multietnica e caotica di sempre con il suo
richiamo particolare e cuore di una società che attende sconcertata più che
preoccupata il 5 novembre. Uno dei problemi sul tappeto è però proprio quello
dell’arretratezza tecnologica ed infrastrutturale con cui viene a confrontarsi
un’America che in questo sta anche peggio di noi.
Un tema importante, dibattuto, che non è “colpa” di questo o quel
presidente ma forse di una intera comunità che ha dato per scontato di essere
per sempre al centro e alla guida del mondo e che invece (come noi) rischia di
ritrovarsi ai margini.
Ho negli occhi visite recenti a Singapore, a Bangkok, in Cina…non
c’è paragone: il futuro è laggiù in Asia, non qui.
A cascata crescono così le insicurezze, i dubbi, le accuse
reciproche tra due candidati alla presidenza che non convincono nessuno a parte
i rispettivi aficionados e con l’impressione, subito rafforzata, che se i
repubblicani avessero messo in campo qualsiasi altro candidato minimamente
credibile avrebbero vinto alla grande e invece rischiano di perdere vista
l’antipatia che Trump ha profuso per anni a piene mani.
Tanto per essere chiari: vinceranno i democratici solo se i loro
elettori (che in buona parte non amano la Harris) andranno comunque a votare in
termini anti-Trump, altrimenti la partita è persa e la minoranza rumorosa dei
trumpiani conquisterà una vittoria nata soprattutto sulle incapacità altrui. In
Tv correvano in questi giorni le immagini del tornado in Florida e il
governatore Ron De Santis era a tutti i TG: ecco un repubblicano che
probabilmente avrebbe vinto facile.
Ma torniamo a questi States che hanno perso il loro slancio, un
aspetto evidente soprattutto vedendo chi sono i nuovi americani.
Oggi le tendenze transgender, l’esasperato “mea culpa” razziale,
tutte le ipocrisie che stanno attaccate a larghe componenti del mondo vicino ai
democratici stanno esplodendo (con un conseguente cedimento verso Trump di
molti indipendenti) proprio perchè il nuovo “deal” americano non è più quello
dei suoi cittadini originali, ma di nuove ondate immigratorie che stanno
condizionando il paese. Sono gli indiani (dell’India) a pullulare, i caraibici,
i sudamericani e non più quegli italiani o irlandesi che arrivavano poveri ed
ignoranti, ma con il passaporto in mano e decisi a conquistarsi con volontà uno
spazio e una pagnotta, ma soprattutto di sistemare i figli nella nuova patria
americana.
Questa più recente ondata immigratoria non solo è molto più
massiccia ma conserva tutti i contatti con i paesi d’origine e non solo la
nostalgia degli spaghetti al pomodoro. Gli immigrati europei avevano comunque
molte cose in comune con gli americani, queste nuovi venuti invece hanno (e
mantengono) costumi, religioni, culture (e non solo cucine) profondamente
diverse e variegate…e sono tantissimi.
Restano collegati al villaggio di partenza che è comunque raggiungibile
24 ore al giorno via whatsapp, non si chiudono così i legami di quando una
lettera ci metteva magari un mese ad arrivare e, a casa, spesso era letta prima
dal parroco. I nuovi arrivati degli ultimi decenni si sopportano, ma quando
diventano regolari (dopo molti sacrifici) sono i più grandi nemici di chi viene
dopo di loro: una concorrenza che nasce dal bisogno, dalla paura,
dall’insicurezza in una società dove a parte pochissimi il grosso non sta
vivendo molto bene, stretto in una crisi economica e un’inflazione che è
palpabile per chi manca da un po' di tempo.
Aspetti che esplodono soprattutto in una campagna elettorale dove
non votano gli ultimi arrivati ma i penultimi e che – secondo i sondaggi – sono
con Trump, il che appare davvero un paradosso.
ALBANIA
Trovo
giusta l’iniziativa per effettuare in Albania una preventiva verifica di chi
arriva in Italia in modo irregolare o clandestino. Non capisco le critiche
della sinistra se si offre comunque un’ospitalità decorosa ma nello stesso
tempo cercando di contenere i flussi migratori tagliando le unghie ai
trafficanti umani. Vediamo se il tentativo funzionerà, intanto sarà sicuramente
un deterrente agli immigrati “economici” ovvero per chi non ha titolo per
chiedere asilo politico od umanitario senza averne i requisiti e che sparisce
appena sbarcato ritrovandosi poi nella più assoluta illegalità e quindi più
debolenel difendere i propri diritti.
UN PAESE NORMALE?
Ma vi
sembra normale che ad un anno e mezzo dalla morte del protagonista Silvio Berlusconi (assolto
nel processo di primo grado per questa vicenda) la Cassazione abbia deciso la
riapertura del processo “Ruby Ter” come richiesto dalla Procura di Milano per
la piccante vicenda delle “olgettine” di 15 anni fa e che quindi il processo
ripartirà da capo? Ma alla procura di Milano non hanno altro da fare? Tutto
funziona così bene da non avere fascicoli arretrati e quindi ci si debba
occupare in eterno di queste cose anche dopo la morte del “reo”? Insomma: siamo
un paese normale?
Approfondimento: ECONOMIA
SPICCIOLA
In Italia
poca gente segue le cronache economiche, pochi capiscono i ragionamenti degli
economisti e i commenti in TV spesso confusi.
Quando si
sente parlare di tassi, spread e mille altri termini inglesi (che hanno i loro
perfetti sinonimi in italiano, ma dirli in inglese fa molto figo) si resta
incerti e si cambia canale.
Tutti,
però, soprattutto quando in autunno si parla di legge finanziaria, ci
accorgiamo che qualcosa non quadra e ci sembra di vivere sotto una “cupola”
finanziaria che ci controlla la vita, organizza il mondo (almeno quello
occidentale e soprattutto quello europeo) e fissa i prezzi di tutto, dai
farmaci all’energia, dal costo del mutuo al futuro dei nostri risparmi.
Perché non
c’è più l’ “Europa dei Popoli” e neppure dei cittadini, ma vince “l’Europa dei
banchieri” alla quale anche i capi di stato e di governo devono adeguarsi e
rendere omaggio perché altrimenti, se criticano troppo il “giro”, finiscono
prontamente a fondo e con loro i rispettivi paesi “ricattati” dai media che
sono in mano alle banche a loro volta controllano finanziariamente i loro
editori.
Nel gioco
sottile della moneta unica (che ha avuto anche grandi vantaggi di
stabilizzazione, non dobbiamo dimenticarcelo) già per cominciare chi a suo
tempo ha dato le carte (era il tempo dell’Italia di Prodi) ha valutato poca
cosa la nostra lira al momento del concambio in Euro, ma d'altronde eravamo con
le pezze sul sedere.
Di fatto
l’Italia “conta” circa il 14% dell’Europa, ma molto meno in campo finanziario
sia perché ci viene continuamente ripetuto che siamo debitori quasi insolventi
e che in buona sostanza facciamo debiti nuovi per coprire quelli vecchi.
La lunga
premessa è per sottolineare come sia ben difficile contestare da posizioni di
forza le scelte della Banca Centrale Europea che nel suo sito sostiene che “il
suo compito principale è mantenere
la stabilità dei prezzi, favorendo in tal modo la crescita e
l'occupazione.”
Per esempio
il mese scorso la BCE ha ridotto gli interessi dello 0.25% per “raffreddare” il
costo del denaro, ridurre l’inflazione e rilanciare così teoricamente
l’economia.
Perché
l’inflazione che cinque anni fa era nulla è schizzata di colpo e come mai i
mutui costano comunque ben più cari di allora? Una delle risposte si
chiama guerra in Ucraina, con l’Europa che si è auto-evirata non volendo più
avere rapporti e forniture energetiche ufficiali con la Russia nel momento in
cui - causa COVID - vi era già una situazione di deficit e generale estrema
debolezza economica.
Salendo
l’inflazione (che non era dovuta a carenza di beni sul mercato, ma ai maggiori
costi per produrli, è un aspetto molto importante) la politica BCE è stata di
aumentare velocemente i tassi, copiando l’esempio della FED americana. Di colpo
così le banche - che continuavano e hanno continuato a pagare poco o niente per
interessi ai propri clienti sulle somme depositate - hanno potuto così far
schizzar il costo dei soldi prestati (che erano però sempre dei clienti)
guadagnando loro (e non i clienti) somme favolose.
Un bengodi,
ma mettendo in crisi le imprese e le famiglie che avevano fatto investimenti e
che con l’aumento dei tassi non erano più in grado di pagare i debiti, di qui
anche la crisi europea e tedesca in particolare.
Calati i
consumi perchè c’era poco da spendere è scesa l’inflazione che ora è più o meno
tornata ai valori di cinque anni fa. Uno si aspetterebbe che di conseguenza
anche i tassi bancari fossero scesi al livello di allora e invece no: i tassi
sono scesi in modo solo millimetrico permettendo alle stesse banche di
continuare però a godere in buona parte di quegli extraprofitti mentre le
imprese produttive soffrono la crisi e non possono investire.
L’anno
scorso il governo Meloni propose una cosa semplice ma secondo me corretta:
tassare questi mega-profitti sui quali le banche non avevano alcun merito
operativo, ma la proposta è finita in nulla per il ricatto subito messo in
campo dalla grande finanza: “Fammi pagare di più e io ti taglio le gambe con
l’informazione che controllo” con la BCE – che è la banca delle banche – che
non vuole togliere le uova d’oro dal nido dei propri soci-clienti.
Con un
indice di inflazione che oggi è meno del 2% il tasso minimo applicato su un
prestito va ancora comunque ben oltre il 5% con punte molto più elevate per il
famigerato “prestito al consumo” proposto da banche e finanziarie-strozzine
varie ai poveri cristi, spesso ben oltre il 15%. Una vergogna, ma che non impressiona
più di tanto la BCE.
Eppure - se
i tassi fossero tornati a livelli 2020 - a guadagnarci non sarebbero stati solo
le aziende che avrebbero potuto così nuovamente investire, ma gli stessi
governi perchè la riduzione del costo del denaro sul debito pubblico pregresso
farebbe risparmiare somme enormi all’ Italia, soldi dirottabili a chieder meno
fondi a prestito oppure a finalmente ridurre le tasse o ad aumentare gli
interventi e/o la spesa sociale.
Ma
nonostante le chiacchiere (piano Draghi) si preferisce far guadagnare somme
folli a banche, colossi farmaceutici, petrolieri ecc.ecc. Brutta faccenda…
Sono nato a Verbania, sul Lago Maggiore, in una famiglia che da secoli ha le sue radici all’Isola dei Pescatori che è quindi da sempre la mia prima piccola patria.
Quando dopo qualche anno di università la Patria si è ricordata di me - allora la naja era obbligatoria – anziché mandarmi tra i paracadutisti - come speravo- mi ha spedito a Pontebba (Udine), a fare l’artigliere da montagna con il mulo al seguito. Pazienza, da allora ho portato la penna sul cappello (e sono con piacere socio dell’ANA) anziché il basco amaranto.
Quasi alla fine del servizio militare (ed era la prima volta che andavo a votare) mi sono candidato al consiglio comunale della mia città, mi hanno subito eletto e di lì ho cominciato la carriera, cresciuta – è il caso di dire – dalla gavetta: dal comune alla provincia, al consiglio regionale del Piemonte nel 1990. In quegli anni essere di Destra significava lavorare seriamente ma essere emarginati, ritrovandosi spesso da soli in un ruolo di dura quanto difficile opposizione, ma è proprio in quel periodo che ho maturato esperienza e rafforzato le mie scelte per costruire una politica che - allora come oggi - intendevo e intendo trasparente, impegnata e concreta. Amavo ed amo stare in mezzo alle persone, discutere con loro, vivere i loro problemi.
Nel ’94 la mia prima candidatura al Parlamento sostenuta e vinta con l'aiuto di oltre 110.000 piemontesi che mi hanno voluto a Montecitorio, unico eletto di Alleanza Nazionale in tutta la circoscrizione del Piemonte 2. La mia circoscrizione elettorale era composta da ben 7 province ma non ho mai mancato ad un appuntamento, ad un incontro.
Subito dopo l’elezione alla Camera Gianfranco Fini mi ha chiamato ad impegnarmi come dirigente nazionale di partito e sono stato così l’ultimo responsabile del dipartimento Organizzazione del MSI-DN prima della fondazione di Alleanza Nazionale e vi ricordate forse il famoso congresso a Fiuggi – quando è stata fondata AN - che ho organizzato proprio io come segretario generale del congresso.
Mi hanno poi rieletto alla Camera nel 1996 e nel 2001 nel collegio uninominale di Verbania-Domodossola, dove AN e la allora "Casa delle Libertà" hanno quasi sempre conquistato la più alta percentuale regionale. Sono stati gli anni più belli perchè con l'elezione diretta a deputato ero in rapporto diretto con i miei elettori che cercavo quindi di rappresentare bene ogni giorno.
Il mio collegio elettorale era terra di montagna e di laghi, ma non c'è un paese, una frazione e forse anche solo un gruppo di case dove io non sia passato, magari organizzando anche un incontro, un dibattito, una conferenza stando vicino ai problemi della "mia" gente soprattutto quando vi erano momenti di maggiore difficoltà. Organizzavo i miei "Rapporto agli elettori" nelle piazze o nelle palestre, nei saloni dei ristoranti o in quelli parrocchiali e cercavo sempre soprattutto di spiegare con parole semplici cosa succedeva a Roma e perché tante cose non si riuscivano a risolvere, così come per anni ed anni alla TV locale ogni settimana la mia rubrica "Onorevole, permette?" era aperta a tutti.
In quegli anni ho diretto l dipartimento Enti Locali di AN e, dal 2002, sono stato - fino alla fine della storia di Alleanza Nazionale - il responsabile del dipartimento Esteri in contatto (anche perché facevo parte della Commissione Esteri) non solo con moltissime figure politiche mondiali ma soprattutto con gli italiani che vivono nel mondo.
Dal 2001 fino al 2012 sono stato componente e anche presidente per cinque anni della delegazione Italiana alla UEO (Unione Europea Occidentale) che si occupava di difesa e sicurezza europea e sono stato membro del Consiglio d’Europa a Strasburgo.
Nel 2005 mi sono nuovamente laureato, questa volta in "Storia delle Civiltà" e sempre a pieni voti con una tesi sui rapporti nel campo della sicurezza tra Unione Europea ed USA dopo gli attentati dell’11 settembre 2001. Nel 2006 e nel 2008 sono stato rieletto deputato per un totale di cinque legislature e 18 anni passati a Montecitorio.
Leggendo qualcuno penserà ad esagerazioni ed invece no: lavorando seriamente si può fare tutto questo senza molti problemi (senza autista o auto blu!) e sono sempre rimasto stupito come nelle statistiche risultassi uno dei deputati più attivi per interventi o iniziative parlamentari perché davvero non mi sembrava di esagerare, ma solo – appunto – di impegnarmi seriamente visto d'altronde lo stipendio che ci davano e che imponeva impegno e responsabilità.
Come ho scritto in uno dei miei libri, "STAFFETTE", che ho dedicato ai giovani di oggi (e che vi invito a leggere perché racconta un po’ tutto di me e della politica di questi anni) non ho mai amato l’apparato del potere, i lussi inutili, gli sprechi di quel mondo falso e senza onore che sta da tempo distruggendo l’anima della gente e la natura intorno a noi. Concetti che riprendo anche in "INVERNA", un nuovo titolo uscito nell’autunno 2012.
Nella mia vita ho avuto la fortuna di viaggiare (per ora) in 139 paesi del mondo ma una svolta importante nella mia vita è venuta nel 1980 quando ho iniziato a lavorare in Africa sul Lago Turkana, in un villaggio di poveri pescatori insegnando loro a pescare. Da allora mi sono reso conto che i problemi non sono mai solo personali, ma anche di tutta l’umanità e che dobbiamo essere comunque grati e contenti verso il "Grande Capo" per tutto quello che abbiamo e che troppe volte diamo per scontato.
Per dare una risposta concreta ho così fondato i VERBANIA CENTER che operano dal Kenya al Mozambico, dal Burundi al Sud America e che oggi sono organizzati in un "Fondo" all'interno della Fondazione Comunitaria del VCO. In oltre 40 anni abbiamo realizzato più di 100 iniziative di sviluppo sociale ed investito oltre 700.000 euro.
Dal Darfur all’Afghanistan, dal Burundi a Timor Est, dal Corno d’Africa al conflitto Mediorientale ho anche visto e vissuto direttamente anche i drammi di tante guerre dimenticate,così come la realtà di tantissimi italiani all’estero che meriterebbero ben più attenzione e rispetto e che invece troppe volte in patria non sono assolutamente considerati.
Credo che si debba essere sempre delle persone semplici: il titolo di onorevole o quello di commendatore non mi sono mai piaciuti, non per niente i miei genitori mi hanno chiamato Marco, il che suona molto meglio e se non mi conoscete di persona ed avrete occasione di contattarmi per favore chiamatemi così.
Qualcuno dice che sono stato un deputato e un politico anomalo... non so, io so soltanto che di dentro mi sento davvero sempre il ragazzo di una volta, quello che parlava al megafono tra le urla (o peggio) nelle assemblee studentesche oppure che prendeva la parola solo contro tutti in consiglio comunale e vorrei ancora essere capace di cambiare sul serio, in meglio, questa Italia che amo e la nostra società dove ci sono ancora tante, troppe ingiustizie.
Anno dopo anno, però, ho scoperto che non sono le ideologie a fare le differenze, ma la qualità delle persone e ne ho trovate di valide e corrette in ogni formazione politica.
E' stata una grande avventura, un onore ed un orgoglio e nel 2012 - anche se avrei potuto rinviare questa scelta - ho anche volontariamente lasciato Montecitorio per svolgere questo incarico a tempo pieno. Per quattro anni ho dato tutto me stesso per la mia città, senza orari né limiti, cercando (gratis) di aiutare e di ascoltare sempre tutti con il massimo impegno possibile. Certo non ho mai fatto discriminazioni di alcun tipo e mi spiace che a volte qualche avversario (ma soprattutto qualche collega di centro-destra) non abbia capito che amministrare una città significa andare ben al di sopra delle opinioni politiche.
Nel 2013 ho scelto di dimettermi da sindaco perchè la mia maggioranza (come il centro-destra a livello nazionale) si era divisa, ma soprattutto sono stato spinto a farlo – e ne ho poi avuto conferma dalle indagini giudiziarie – perché alcune persone a me vicine avevano tramato contro di me diffondendo maldicenze e assurdità: una pagina brutta, una grande sofferenza e delusione che mi ha ferito profondamente.
La “Giustizia” degli uomini mi ha dato completamente ragione ma mi è rimasto il peso di essere stato costretto a lasciare un incarico al quale tenevo, dove ci mettevo il cuore senza risparmiarmi. Ci tenevo perché mi avevano eletto quei miei concittadini che, a larga maggioranza, mi conoscevano di persona e avevano avuto fiducia in me , passano gli anni ma e' una ferita che non si e' rimarginata.
Ho così concluso la mia carriera elettiva ma ho continuato nei miei impegni perché ci sono infinite cose da fare.